Giulio Regeni, una morte avvolta nel mistero. La famiglia: “Non era dei servizi segreti”

Una morte che ancora non conosce verità quella di Giulio Regeni, il ricercatore italiano di 28 anni originario della provincia di Udine e ritrovato senza vita in un fosso a Giza, nella periferia del Cairo (Egitto).

Il corpo del ragazzo, trasferitosi al Cairo a settembre per studiare i cambiamenti dell’economia egiziana dopo la rivoluzione, era seminudo e presentava numerosi segni di tortura: coltellate, bruciature di sigaretta, ecchimosi. Le sue orecchie erano entrambe state mozzate. Ma, nonostante questi evidenti segni, il Governo egiziano sostiene che sia morto in un incidente stradale sulla strada che collega il Cairo ad Alessandria. Una versione che non regge e che si scontra con i mille dubbi e le cicatrici evidenti presenti sul cadavere del ragazzo. Il Governo italiano, dal canto suo, ha espresso il suo pieno interesse ad andare a fondo nella vicenda e cercare di scavare più a fondo sulla morte del ricercatore friulano. Intanto, la polizia egiziana ha ascoltato due nuovi testimoni, alla presenza di investigatori italiani. Si tratterebbe di due inquilini del palazzo in cui viveva Giulio Regeni: secondo alcune indiscrezioni, la polizia sta cercando di indagare sulla presunta richiesta di informazioni su Regeni fatta da sconosciuti all’interno dell’immobile.

Una vicenda la cui verità verrà a galla non troppo facilmente. La famiglia della vittima, attraverso il proprio legale “smentisce categoricamente ed inequivocabilmente che Giulio sia stato un agente o un collaboratore di qualsiasi servizio segreto, italiano o straniero. Provare ad avvalorare l’ipotesi che Giulio Regeni fosse un uomo al servizio dell’intelligence – prosegue la famiglia – significa offendere la memoria di un giovane universitario che aveva fatto della ricerca sul campo una legittima ambizione di studio e di vita“.

Gli inquirenti stanno cercando anche di ricostruire la rete di relazioni che Regeni aveva quotidianamente via Skype o Facebook con amici, colleghi, professori universitari e conoscenti. Una di quelle persone, probabilmente, potrebbe averlo portato indirettamente alla morte. La cosa cerca è che il ricercatore italiano non è morto in un incidente stradale, come inizialmente si pensava: gli inquirenti stanno cercando di dare un nome al killer, o ai killer che lo hanno brutalmente picchiato e seviziato, prima di ucciderlo. E si pensa che il suo omicidio sia collegato alle informazioni da lui raccolte sul lavoro.

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