Zhang Yao: la verità degli scippatori

Seferovic Sherif è l’ultimo del gruppo dei tre rom ad essere stato fermato dalla polizia per la morte di Zhang Yao, la studentessa cinese.

Avrebbero provato a rimpallarsi la colpa i tre scippatori rom di origine bosniaca arrestati dopo la morte di Zhang Yao, la studentessa cinese travolta da un treno il 5 dicembre alla stazione di Tor Sapienza poco dopo essere stata scippata. Si sono accusati a vicenda ma, secondo gli inquirenti, non avrebbero ancora raccontato la verità. Pochi giorni fa si era consegnato anche il terzo ragazzo che ha scippato Zhang Yao, la ragazza uccisa da un treno regionale diretto alla stazione Termini mentre inseguiva i suoi rapinatori. Si tratta di Seferovic Sherif che è stato interrogato dagli agenti della Squadra Mobile. Rom come gli altri due, uno minorenne e l’altro maggiorenne, fermati il 17 dicembre: tutti vivevano nel vicino campo di via Salviati.

I tre, secondo quanto riferito da Il Messaggero, si sarebbero dichiarati delusi dal bottino, pensavo sarebbe andata meglio. Un’ indagine complessa quella degli investigatori della Mobile che dallo scorso 9 dicembre, quando venne ritrovato il cadavere della studentessa cinese a poca distanza dalla stazione di Tor Sapienza, hanno concentrato le loro attenzioni soprattutto nella baraccopoli di via Salviati, con l’impiego di reparti normalmente destinati alla gestione delle più complesse situazioni di ordine pubblico e l’ausilio dei poliziotti dei commissariati Prenestino e San Basilio. Ad aiutare gli agenti nelle indagini solamente alcune riprese video, unica prova della dinamica della morte di Zhang Yao, attraverso delle immagini nelle quali è stato registrato il momento in cui la studentessa asiatica viene travolta ed uccisa da un treno regionale.

Sono state impiegate tutte le risorse possibile per spiegare come ciò sia potuto succedere e pian piano si sta delineando una realtà molto complessa. I tre scippatori sono ancora in custodia e non verranno rilasciati. Racconteranno una nuova verità?

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Photo Credits: Facebook

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