Sentenza shock della Cassazione: “Licenziare per fare più profitto? Si può”

Polemiche roventi dopo il pronunciamento della suprema Corte di Cassazione, secondo cui un’azienda può licenziare anche solo per fare più soldi. La vicenda esaminata dagli ermellini era quella di un manager mandato a casa. Ma la sentenza è considerata “rivoluzionaria”: potrebbe aprire la strada a una totale libertà di licenziamento.

Il licenziamento di un manager – ma più in generale di un lavoratore – può essere legittimo anche quando i conti dell’impresa vanno bene. Quando la crisi non è all’orizzonte. E se la «soppressione» della sua posizione lavorativa sia funzionale a un nuovo assetto che, oltre a determinare una migliore efficienza può anche accrescere i margini di guadagno del datore di lavoro.

LA VICENDA

Lo sottolinea la Corte di Cassazione nella sentenza con la quale lo scorso 7 dicembre ha accolto il ricorso di un resort di lusso della Toscana contro la decisione della Corte di Appello di Firenze che aveva giudicato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con il quale era stato estromesso uno dei manager al quale la corte fiorentina – diversamente dal giudice di primo grado – aveva riconosciuto il diritto a ottenere 15 mensilità.

IN PRIMO E SECONDO GRADO

Invece, secondo il Tribunale di primo grado il licenziamento era legittimo in quanto «effettivamente motivato dall’esigenza tecnica di rendere più snella la cosiddetta catena di comando e quindi la gestione aziendale». Un punto di vista non condiviso dalla Corte di Appello che ha ritenuto non sufficiente la dimostrazione dell’effettività della riorganizzazione in mancanza della prova, da parte del datore, dell’esigenza di fare fronte a uno stato di crisi o a spese straordinarie. In poche parole, secondo la corte di secondo grado, il licenziamento era mascherato dalla foglia di fico del riassetto di impresa ma in realtà era motivato solo «dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto».

IL RESPONSO DELLA SUPREMA CORTE

Questa motivazione non è stata condivisa dalla Cassazione che ha disposto l’annullamento con rinvio del verdetto che aveva stabilito che di licenziamento illegittimo si trattava con diritto a quindici mensilità. Ora la Corte di Appello dovrà rivedere la sua decisione. «Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda – afferma la Cassazione – non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare e il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa».

UNA SENTENZA PILOTA

Il caso esaminato dagli ermellini era riferito a un manager mandato a casa, come abbiamo evidenziato. Ma la sentenza è considerata “rivoluzionaria” e perciò sta suscitando tante polemiche: potrebbe aprire la strada a una sempre più facile libertà di licenziamento. Già molto allargata dopo la sostanziale abolizione delle vecchie forti tutele anti licenziamenti, simboleggiate dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Profondamente trasformato prima con la riforma Fornero del Governo Monti nel 2012, poi con il cosiddetto Jobs Act del Governo Renzi nel 2015.

Millenials Italia, boom di quelli che emigrano all'estero

Photo credits: Twitter

Impostazioni privacy