Ucciso fuori la discoteca a Roma: ascoltati i testimoni, la ricostruzione shock

In attesa dell’autopsia sul corpo di Giuseppe Galvagno, pestato a morte fuori ad una discoteca romana, gli inquirenti stanno indagando sulla dinamica del fatto. Ascoltati i testimoni e non solo.

Per gli inquirenti che indagano sull’omicidio di Giuseppe Galvagno, il 50enne pestato a morte fuori la discoteca San Salvator di Roma, in zona Eur, la dinamica dei fatti è chiara. Non è concorde con la ricostruzione fatta da chi indaga l’Associazione Italiana Sicurezza Sussidiaria (Aiss) che ha dichiarato, a Il Fatto Quotidiano, di ritenere improbabile quanto sostenuto dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e del sostituto procuratore Eleonora Fini, in quanto le procedure da applicare in tali circostanze sono altre. Al momento è stata chiesta la convalida del fermo per i 5 buttafuori italiani, con un età compresa fra i 32 e i 44 anni, indagati per omicidio volontario con l’aggravante dei futili motivi.

LA RICOSTRUZIONE – Per gli inquirenti ciò che è successo nella tragica sera tra il 2 e il 3 settembre 2017 è chiaro. Giuseppe Galvagno, su di giri probabilmente per l’alcol, sale su un cubo, poi cade (secondo alcune testimonianze), fa qualche complimento di troppo ad un’altra donna, litiga con un’altra persona e, probabilmente da tutto questo, nasce una discussione con la fidanzata, un’infermiera di 44 anni. L’uomo viene allontanato dal locale mentre la compagna si è recata a prendere l’auto. Sono proprio questi minuti a rivelarsi fatali per Giuseppe Galvagno. Secondo la ricostruzione, in quei minuti nasce un battibecco con gli uomini della sicurezza. Due iniziano a prenderlo a pugni e, in seguito, si aggiungo altri tre. L’uomo rimane a terra agonizzante. La compagna, nel frattempo, lo cerca e quando lo vede a terra chiama i soccorsi. Si tratta quindi di un pestaggio finito male, confermato da alcuni testimoni, ascoltati dagli inquirenti nella giornata di ieri, 4 settembre.

LE DICHIARAZIONI DEL PROPRIETARIO – Il proprietario della discoteca San Salvador, Giancarlo Liberati, ai microfoni di RaiNews24 ha dichiarato che Giuseppe Galvagno era già stato al suo locale. La vittima, secondo il proprietario, in passato aveva recato “problemi” dando fastidio ad altri clienti della discoteca e, proprio in una circostanza analoga a quella della tragica sera, lo aveva preso da parte pregandolo di non creare scompiglio in quanto, grazie ai guadagni dati dal San Salvador, lui manteneva la propria famiglia. Ma allora perché, se fossero veri i precedenti, non è stato proibito l’accesso al locale a Galvagno? Questa domanda se la pone anche il legale della famiglia della vittima, Gianluca Benedetti, che sostiene: “Le affermazioni del signor Liberati appaiono disancorate dalla realtà e tratteggiano la figura della vittima in maniera falsa e funzionale a connotare il signor Galvagno come soggetto violento e molesto, solito a minacciare e litigare con tutti. Infatti se fosse stato vero quanto dichiarato […] non si comprende perché allo stesso sia stato ugualmente consentito di accedere alla discoteca”. Per l’avvocato Benedetti  le dichiarazioni del proprietario non sono attendibili: “Inoltre non corrisponde a verità l’affermazione secondo cui Galvagno ha spaccato una discoteca a Milano e definirlo come ‘Una bestia che menava a tutti’ non solo è totalmente infondato, ma getta fango sulla memoria dell’unica vittima di una barbara aggressione che non ha avuto fine nemmeno quando Giuseppe giaceva ormai inerme a terra, colpito a morte da ben cinque addetti alla sicurezza della discoteca San Salvador”. Giancarlo Liberati al giornale Il Fatto Quotidiano, forse resosi conto di aver esagerato nella precedente intervista, ha dichiarato: “Questo è un posto tranquillo, non è mai successo nulla di simile. Sono addolorato per la famiglia, ma tutto quanto è accaduto a diverse decine di metri dal locale. Sono sicuro che la giustizia farà il suo corso, chiederò conto dell’accaduto all’agenzia di security”.

LA VERSIONE DELL’AISS – L’unica, per il momento, contro la ricostruzione degli inquirenti è l’Associazione Italiana Sicurezza Sussidiaria. “È assai improbabile” afferma l’ufficio stampa dell’Aiss, come riportato da Il Fatto Quotidiano, sulla ricostruzione fatta da chi indaga. “I 5 ragazzi fermati – fa sapere l’associazione – sono tutti professionisti del settore: un capo servizio esperto, tre persone con comprovata professionalità e un altro operatore, anche lui molto professionale, lì da meno tempo. Tutto il personale segue criteri molto stringenti di selezione psicologica e, soprattutto, non può avere precedenti penali proprio perché altrimenti non potrebbe operare senza un patentino rilasciato dalla Prefettura”.

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