Yara, Bossetti non faceva più sesso con la moglie: “Uccise perché respinto”

Sono state depositate le motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Brescia in merito alla condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio.

Per la Corte d’Assise d’Appello di Brescia non vi sono dubbi: Massimo Giuseppe Bossetti ha commesso l’omicidio di Yara Gambirasio. Nelle 380 pagine il presidente della Corte, Enrico Fischetti, risiedono le motivazioni della sentenza, emessa il 17 luglio scorso, che ha confermato l’ergastolo al muratore di Mapello, accusato dell’efferato delitto della 13enne di Brembate di Sopra. Il suo comportamento, per la Corte, è aggravato dall’intento dall’avere operato sevizie ed agito con crudeltà verso la vittima, con lo specifico scopo i vederla soffrire, dimostrando un’indole malvagia e priva del più elementare senso di umana pietà. L’uomo ha agito vigliaccamente nei confronti della ragazzina indifesa, lasciandola morire in preda a spasmi e sofferenze, in un campo abbandonato, a causa del freddo e delle ferite. Bossetti ha continuato a vivere come se nulla fosse, manifestando, a distanza di tre anni, interessi sessuali verso le tredicenni: lo provano le ricerche effettuate sul suo computer.

Dalle motivazioni della sentenza sono emersi, inoltre, anche dei passaggi inediti riguardanti la ricostruzione del 26 novembre 2010, giorno in cui si persero le tracce di Yara. Per i giudici Massimo Bossetti quel tragico pomeriggio “stava bighellonando senza gran costrutto e non voleva evidentemente tornare subito a casa dove lo aspettavano i soliti incombenti familiari” e l’uscita dalla palestra di alcune ragazze “deve aver esercitato su di lui un indubbio richiamo“. Inoltre il muratore di Mapello, all’epoca dei fatti, aveva litigato con la moglie e “evidentemente in quel periodo non aveva rapporti sessuali” con lei. Yara, secondo i giudici, stava andando a piedi a casa, ma, dopo essere uscita dalla palestra, è stata aggredita e successivamente è stata fatta salire su un mezzo di trasporto con la costrizione e con l’inganno. Infine, riguardo il movente del delitto, la Corte sottolinea come Yara fosse solita fare la strada illuminata per tornare a casa dopo gli allenamenti, avvalorando quindi la tesi di un’aggressione a carattere sessuale, scattata mentre Bossetti osservava le ragazzine uscire dalla palestra.

A sostegno di tale tesi vi sono molte prove: nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010, Massimo Bossetti non è né a casa né a lavoro. Dalle 17.45 il suo telefonino è spento e lo rimarrà fino al mattino seguente. La sera in cui Yara Gambirasio scompare, rincasa più tardi. Per i giudici di Brescia non vi sono dubbi, soprattutto dopo il riscontro delle immagini che riprendono il furgone del muratore di Mapello nella zona della palestra. Inoltre le tracce repertate sul corpo privo di vita della 13enne sono riconducibili a Bossetti: polvere di calce, fibre che riportano ai sedili del furgone dell’uomo. Per la Corte d’Assise d’Appello non vi è quindi il bisogno di una nuova perizia sul Dna: “Quello che è certo – scrive il presidente Enrico Fischetti – è che non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni. Una eventuale perizia sarebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato del Ris. Il profilo genetico di Ignoto 1 rimasto sulla vittima coincide con quello del muratore di Mapello. La presenza del Dna nucleare è stata riscontrata in 71 tracciati su 104 e per 71 volte ha fornito l’impronta genetica della stessa persona. Si tratta di sangue ed è il segno di una aggressione”.

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