Calabria: maxi sequestro di tramadolo, la droga dell’Isis. La ‘ndrangheta fa affari col terrorismo? [VIDEO]

Oltre 24 milioni di compresse della “droga del combattente” sono state sequestrate dalla Guardia di finanza nel porto di Gioia Tauro. Le compresse di tramadolo provenivano dall’India ed erano dirette in Libia. Il traffico di questo oppiaceo sintetico sarebbe gestito dall’Isis per finanziare il terrorismo della Jihad. Sembra che anche famiglie della ‘ndrangheta siano implicate in questo sporco affare.

L’operazione è stata coordinata dalla Sezione antiterrorismo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria a conclusione di indagini svolte dai finanzieri del Comando provinciale reggino in collaborazione con l’Ufficio Antifrode della Dogana di Gioia Tauro. L’input investigativo è partito dal II Gruppo della Guardia di finanza di Genova che nell’ambito di una operazione dello scorso maggio, aveva proceduto a un analogo sequestro nel porto del capoluogo ligure. Ogni pasticca viene venduta a circa 2 euro.

ECCITANTE PER ANDARE AD AMMAZZARE

Il tramadolo è un oppiaceo sintetico commercializzato in tutto il mondo a partire dagli anni ’80: se mischiato ad altri componenti, anche banale caffeina, si trasforma in una potentissima anfetamina. È chiamato “droga del combattente” perché il suo uso è stato accertato nelle guerre che infuriano in Medio Oriente (Siria, Iraq, ma anche Libia). Viene usato sia come eccitante che per aumentare le capacità di resistenza allo sforzo fisico.

L’ISIS NE RICAVA MILIONI DI EURO

Secondo quanto riferito dalla Guardia di finanza, il traffico della sostanza viene gestito direttamente da Daesh (l’Isis) per il finanziamento delle proprie attività terroristiche in ogni parte del mondo. Inoltre, parte dei proventi illeciti provenienti dalla vendita sarebbero destinati a sovvenzionare gruppi eversivi e di estremisti operanti in Libia, Siria e Iraq. Si calcolano in decine e decine di milioni di euro, a 2 euro a pasticca, gli incassi dell’Isis dalla vendita della “droga del combattente”.

LA MAFIA CALABRESE IN AFFARI CON I TAGLIAGOLE?

“A Gioia Tauro passa di tutto e in fondo non ci possiamo stupire più di tanto nell’individuare anche traffici di questo genere di sostanze” ha dichiarato il procuratore aggiunto Gaetano Paci, responsabile per la Dda di Reggio Calabria dell’area tirrenica. Tuttavia, fanno notare gli investigatori, esiste un dato nuovo e preoccupante.

IL PORTO DI GIOIA TAURO SOTTO IL CONTROLLO DEI CLAN

Per passare, infatti, da Gioia Tauro bisogna chiedere “il permesso” ai clan della ‘ndrangheta che controllano in larga parte lo scalo. “Da tempo – aggiunge Paci -, abbiamo cognizione di rapporti fra la ‘ndrangheta e organizzazioni del Medio Oriente. Nonostante il porto sia diventato zona meno sicura per i clan grazie alla pressione investigativa, abbiamo individuato diversi vettori e famiglie riconducibili alla ‘ndrangheta che sembrano impegnati in traffici di vario genere con organizzazione dell’area mediorientale“. Per ora, spiega il magistrato si tratta di “tasselli che si sta cercando di mettere insieme”. Ma di più non può dire perché “ci sono sviluppi in corso”.

Il porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria)

Photo credits: Twitter; video credits: You Tube

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