Omicidio Serena Mollicone, il padre: “Dopo il delitto ci furono delle mosse da scacchisti per depistare”

Dopo la riapertura delle indagini, la Procura della Repubblica di Cassino ha dato il nulla osta per far si che la salma della studentessa 18enne Serena Mollicone, uccisa nel 2001, venga restituita alla famiglia per una nuova sepoltura. In una lunga intervista al Corriere della Sera, Guglielmo Mollicone racconta l’attesa della giustizia.

Le nuove indagini sulla misteriosa morte di Serena Mollicone, la 18enne di Arce, uccisa il primo giugno del 2001, procedono senza sosta e la Procura di Cassino ha disposto il rientro della salma per il 22 dicembre 2017. Guglielmo Mollicone, padre della studentessa, in una lunga intervista con il giornalista Fulvio Fiano, del Corriere della Sera , si è detto emozionato per il rientro della salma della figlia. Da sempre l’uomo ha lottato per ottenere verità e giustizia sul caso, affermando che smetterà di lottare soltanto: “Quando ci saranno le condanne, che devono essere esemplari”. E in merito alla faccenda rivela un particolare taciuto: “Dopo il delitto ci furono delle mosse da scacchisti per depistare. Marco Malnati, il compare del brigadiere Santino Tuzi (suicida nel 2008 dopo aver testimoniato la presenza di Serena in caserma, ndr) disse di aver saputo da lui che Mottola, la notte della veglia funebre, entrò in casa mia per lasciare il telefonino di Serena. La sua testimonianza è sparita, Malnati non ha più parlato per paura, ma di quelle frasi, ripetute al funerale di Tuzi, c’è ancora traccia in una tv locale”. In merito alla vicenda dell’invito in caserma durante il funerale di Serena, Guglielmo Mollicone racconta: “Mi convocarono per firmare il verbale di ritrovamento del telefonino. Restai tre ore sulla stessa panca dove aspettò mia figlia e l’unico motivo, l’ho capito poi, era far vedere a tutti che non ero in chiesa, alludendo a chissà quale mistero”.

Il padre di Serena Mollicone, nell’intervista di Fulvio Fiano del Corriere della Sera, rivela perché la figlia andò in caserma quel primo giugno del 2001: “Per denunciare il figlio di Mottola, Marco, che faceva lezioni private di francese da me e andava a scuola con Serena. Si conoscevano, nessuna storia come è stato scritto, ma lei sapeva che lui spacciava”. Il signor Mollicone continua: “Serena me lo disse un giorno a tavola. Aveva anche avvertito Marco, tanto che suo padre, il maresciallo, la diffidò in piazza davanti a tutti. Lei mi disse: ‘Mottola pensi a suo figlio, piuttosto’. E Serena dava sempre seguito alle sue parole. Oltre alla testimonianza di Tuzi e al nome poi cancellato sul registro degli ingressi, c’è il verbale di una donna delle pulizie che la vide in sala d’attesa e sentì una voce chiamarla negli alloggi del comandante”. Serena Mollicone era una ragazza tranquilla, un’idealista, generosa, pronta ad aiutare gli altri.

Alla luce dei nuovi accertamenti medico-legali e delle nuove indagini compiute dai carabinieri di Frosinone, gli inquirenti si sono convinti che il giorno della scomparsa Serena Mollicone si recò nella caserma dell’Arma di Arce, venne fatta entrare in un alloggio in disuso nella disponibilità della famiglia Mottola e, nel corso di un violento litigio, venne picchiata selvaggiamente. Credendola morta, dopo che le era stata fatta sbattere con violenza la testa contro una porta, i presenti avrebbero portato Serena nel boschetto, per sbarazzarsi del cadavere e, resisi conto che era ancora viva, l’avrebbero soffocata lì sul momento. Al momento in merito alla morte della giovane sono indagati: l’ex comandante dei carabinieri della stazione di Arce, Franco Mottola, suo figlio Marco e la moglie del maresciallo, Anna, con l’accusa di omicidio volontario ed occultamento di cadavere; il maresciallo Vincenzo Quatrale, indagato oltre che per il reato di concorso in omicidio nei confronti di Serena Mollicone, anche per quello di istigazione al suicidio per il brigadiere Santino Tuzzi, che a causa del suo silenzio ha compiuto il gesto estremo; il maresciallo Francesco Suprano, indagato con l’accusa di favoreggiamento, in quanto avrebbe omesso di riferire agli inquirenti fatti e circostanze di rilevante importanza per le indagini.

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