Licenziato dopo 30 anni in fabbrica: “Un robot prende il tuo posto: non ci servi più”

Per trent’anni ha lavorato per un’azienda del Milanese che produce taniche e altri contenitori. Per quasi tutta la sua vita professionale, ha dovuto convivere con una pesante disabilità, visto che nel 1991 ha perso una mano. Ora all’operaio, un uomo di 61 anni, l’azienda ha comunicato il licenziamento in tronco perché “abbiamo una macchina fa il tuo lavoro in automatico”.

La notizia è riportata da Repubblica.it in un articolo a firma di Franco Vanni. Questo il motivo del licenziamento che l’azienda ha comunicato brutalmente al lavoratore tramite una lettera. È stata inventata una macchina che svolge automaticamente il lavoro a cui per tanti anni l’operaio era stato assegnato: la posa dei tappi provvisori sui flaconi appena prodotti, prima della verniciatura. Nella lettera di “licenziamento per giustificato motivo oggettivo con esonero dal preavviso”, l’azienda non usa mezzi termini: “La nostra società ha installato una macchina, denominata ‘Paint cap applicator’, che svolge in automatico il medesimo lavoro sino a oggi da lei svolto. Viene così soppressa la Sua posizione lavorativa”.

La ditta riconosce all’uomo l’indennità di legge, secondo quanto scrive Vanni su Repubblica. Ma l’operaio, che per un’intera vita lavorativa ha servito la stessa azienda, non ci sta. “Mi manca poco alla pensione, appena quattro anni. Lavorare lì per me era la vita. Che almeno mi pagassero i contributi“. Un tentativo di conciliazione, mediato dai sindacati, sarebbe fallito.

Nel dramma del lavoratore c’è quello di intere generazioni di operai, il cui mestiere dall’oggi al domani viene svolto da computer e macchinari. Mirko Mazzali, avvocato penalista a cui l’uomo si è rivolto, commenta: “Non si può licenziare una persona che ha lavorato trent’anni in un posto, prossima alla pensione, perché una macchina ha preso il suo posto. Tanto più se si tratta di una persona con una disabilità tale da rendere difficoltosa la ricerca di un nuovo impiego”.

Photo credits: Twitter

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