“I migranti ci interpellano: che tipo di europei vogliamo essere?” Intervista a Domenico Quirico

“Spero di ripartire presto per la Libia…”. Le sfolgoranti colline del Monferrato astigiano, la sua terra, non hanno il potere di trattenerlo troppo a lungo. Domenico Quirico, celebre giornalista e scrittore, veterano degli inviati di guerra, due volte rapito, e sequestrato in Siria per 5 mesi, progetta un nuovo viaggio in mezzo agli ultimi. A parti invertite. Laggiù, oltre il Mediterraneo, il fossato della fortezza Europa.

E se in Italia si fa un gran parlare di un paese che in teoria dovremmo conoscere bene e che è assurto a simbolo dell’inferno in Terra – la Libia appunto -, dove i migranti che fanno naufragio in mezzo al Mediterraneo sperano di non tornare mai più, lui è proprio lì che vuole arrivare. Per “raccontare, scrivere, rendere i lettori consapevoli, dar loro gli strumenti” affinché possano interpretare e comprendere meglio una realtà, quella delle grandi migrazioni e della povertà, per noi ancora quasi indecifrabile, se non mistificata. Inquinata da una discussione pubblica venata di odio, di razzismo, strumentalizzata politicamente. Nella quale le espressioni di solidarietà umana appaiono sempre più spesso non virtù ma debolezze.

Sono di pochi giorni fa le immagini sconvolgenti di una mamma e un bambino che sarebbero stati lasciati morire in mezzo al mare al largo della Libia. Lei cosa ha provato?

“Tutto ciò accade spesso nel Mediterraneo. Quello che mi ha fatto impressione è il trascorrere del tempo senza che qualcosa cambi. Nel 2011 ho compiuto, per raccontarlo, il viaggio dei migranti in mezzo al mare verso Lampedusa. Sono passati anni e il dramma continua. Come se niente fosse. Noi non parliamo neanche più dei migranti in quanto persone, esseri umani. Sui giornali ne parliamo come ‘questione’, come ‘problema’ di quote di redistribuzione nelle relazioni con l’Unione europea, o cose del genere.

 

Il dibattito pubblico in Italia appare tuttavia dominato dal tema dei migranti

La stampa, i media, hanno contribuito alla diffusione delle bugie sui migranti. Sui numeri, intanto: il concetto di ‘invasione’ è falso. Non si può parlare di una invasione straniera. Tuttavia siamo entrati in quella logica e ci siamo assuefatti a questa idea che non corrisponde alla realtà. Un’altra idea diffusissima è che ‘gli italiani sono contro i migranti’, non li vogliono. Ma chi l’ha detto? Non ci sono italiani che accolgono gli stranieri? Sono stato di recente in alcune valli del Torinese dove gli immigrati vivono accanto ai residenti senza problemi, tranquillamente integrati. E questo è solo un esempio. Ci sono momenti nella storia in cui bisogna ripetere in modo ossessivo la verità, senza compromessi. Occorre separarsi. Da coloro che, in nome della xenofobia e del razzismo, spargono odio e menzogne.

Cosa dovrebbe fare il giornalismo in tutto questo?

I giornalisti devono raccontare la verità per rendere consapevoli i lettori di questi grandi problemi, non per vendere più copie. Devono dare ai lettori gli strumenti per comprendere. Ma l’Italia è un paese di cortigiani. Quando cambiano gli uomini al potere comincia un riadattamento alle nuove situazioni, anche da parte dei media.

L’Italia porta dell’Europa, si dice a volte riferendosi ai flussi di poveri in arrivo dall’Africa e dal Medio Oriente. Cosa è l’Europa oggi?

Le rispondo con una domanda: chi vogliamo essere noi europei? Vogliamo essere coloro che applicano le convenzioni dei diritti dell’uomo, l’eguaglianza, la libertà e la fraternità, come proclamato nel corso dei secoli o no? I migranti arrivati sulle nostre coste hanno svolto una funzione rivoluzionaria: hanno smascherato il concetto fasullo di Europa che ci permea. Arrivati a Lampedusa ci hanno messo di fronte alla necessità di fare qualcosa, di dare una risposta a degli esseri umani.

La mostra su Aleppo ad Asti, curata da Quirico (foto Twitter @Philosophia57)

Quale risposta abbiamo dato loro finora?

Chi ha cavalcato le bugie sui migranti in alcuni Paesi d’Europa ha vinto le elezioni. In altri, vedi la Francia, per ora no. Proprio in Francia, negli anni ’50 e ’60, giungevano in modo regolare e non illegale, molti immigrati dalle ex colonie dell’Africa per lavorare. Ne arrivavano tanti. Era una emigrazione legale. Oggi gli xenofobi e i razzisti sostengono anche di lottare contro gli sfruttatori dei migranti, scafisti e non solo. Se legalizzassero i fenomeni migratori, per cui una persona non deve spendere migliaia di euro per affidarsi ai mercanti di uomini rischiando le torture e la morte, lo sfruttamento dei migranti verrebbe meno.

In cosa consistono nel 2018, in Italia e in Europa, la xenofobia e il razzismo?

L’avanzata della xenofobia è legata al colore della pelle. Il razzista non evolve. Quando ad arrivare in Italia erano tanti albanesi o romeni, con la pelle bianca, non c’era la stessa tensione, la stessa xenofobia di oggi. Tutto ruota attorno al solito vecchio problema: il colore della pelle. Nera.

Nel suo libro testimonianza Succede ad Aleppo lei sostiene che, di fronte all’immane tragedia della città siriana devastata da lunghi anni di guerra civile, a un certo punto ha temuto di perdere “la capacità di scrivere” perché “Aleppo mi ha costretto a tacere“…

La guerra oggi non è più narrabile con la scrittura giornalistica del ‘900. Il ritmo, la eco, il rumore delle parole devono essere diversi. Ci vogliono nuovi modelli narrativi. Occorrerebbe una sorta di ‘scrittura continua’ in presa diretta di ciò che vedo e sento nel momento in cui mi trovo in mezzo alla battaglia o alla città sotto assedio. Su Aleppo ho curato una mostra multimediale a Palazzo Mazzetti di Asti. È stato anche un tentativo di introdurre un linguaggio nuovo accanto a quello della scrittura, per far immergere per quanto possibile il lettore-visitatore nella vita quotidiana delle persone comuni, abitanti di una città millenaria, stretti nella morsa dell’orrore.

Photo credits: Twitter

 

 

 

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