Fringe benefit a 3mila euro solo per chi ha figli: “È discriminatorio”

Il decreto lavoro ha innalzato a 3mila euro la soglia dei fringe benefit, ma possono usufruirne solo i lavoratori dipendenti con figli a carico.

La misura è stata giudicata poco democratica dai sindacati e da Aiwa, l’associazione che riunisce i provider di welfare aziendale in Italia. Rischia di creare disparità tra i lavoratori.

Roberto Benaglia, segretario generale della Fim Cisl ritiene che “sebbene questa scelta sia ispirata ad un giusto principio di sostegno della genitorialità, la norma si presta di fatto, ingestibile e inattuabile, anche sulla base della necessità di non poter differenziare i trattamenti di welfare tra i lavoratori da parte delle imprese”. 

Fim Cisl: “È ingestibile. Tornare al confronto con le parti sociali”

In un comunicato stampa, il sindacato chiede “al governo che nel percorso di conversione del decreto, torni al confronto con le parti sociali e alzi per tutti i lavoratori la soglia dei 258 euro – che ricordiamo è ferma da oltre 30 anni – e va adeguata ai livelli salariali di oggi”. 

Sebbene assolutamente giustificato e utile alzare pertanto a 1.000 euro tale soglia rapportandola al suolo della contrattazione collettiva. Infatti i flexible benefits, in epoca di alta inflazione, sono una misura, non solo positiva sul piano del welfare, ma utile per massimizzare risultati contrattuali sostenendo davvero il reddito di tutti i lavoratori. Sarebbe una giusta spinta per aiutare i tanti rinnovi di contratti nazionali ed aziendali in corso. Il welfare contrattuale è sempre di più un elemento centrale nella contrattazione tra parti sociali e va sostenuto definitivamente e per tutti i lavoratori”, conclude il comunicato di Fim-Cisl.

Aiwa: “Norma poco fruibile per le imprese”

Anche Aiwa ha espresso perplessità sulla norma dei fringe benefit in un documento inviato alla decima commissione del Senato, perché “poco fruibile da tutte le imprese che abbiano codici etici e/o regolamenti rigidi su ogni possibile forma di discriminazione”. 

Secondo l’associazione, le imprese con un organico eterogeneo avrebbero difficoltà a rivolgere i piani di benefit. “risulta difficile prevedere la costruzione ex novo di piani welfare dedicati solo ai dipendenti con figli. Una fattispecie, questa, che potrà forse verificarsi nella piccola impresa, che è però il ‘taglio’ di soggetto giuridico meno in confidenza con il welfare aziendale, in ragione della minore informazione e, soprattutto, delle più esigue disponibilità a bilancio. Più facile prevedere una differente modulazione del paniere di beni e servizi di welfare per i destinatari con figli, all’interno però di un budget già stanziato e uguale all’interno delle tradizionali categorie attorno alle quali si costruiscono queste politiche”. 

E se si verificasse questa ipotesi, continua l’Aiwa, “assisteremmo a una curiosa eterogenesi dei fini: la norma non soltanto non riuscirebbe a incentivare la scelta genitoriale incoraggiandola con (la promessa di) un trattamento di welfare migliorativo (intento ostacolato dalla ristretta durata della disposizione, inferiore anche ai nove mesi di gravidanza), ma addirittura potrebbe allontanare i destinatari con figli da quei beni e servizi maggiormente vocati alla cura familiare”. 

L’associazione propone di intervenire prevedendo la possibilità della cessione del credito welfare a colleghi.

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