Le prostitute come tutti gli altri lavoratori devono pagare le tasse, non conta più se la professione svolta non è registrata tra i codici delle dichiarazioni dei redditi prestabiliti dall’Agenzia delle Entrate
È il mestiere più antico del mondo e anche uno dei più redditizi visto che è esente dalle tasse, stiamo parlando della prostituzione. Per le escort italiane o sex worker come si dice nei paesi dove la professione è legalizzata, sta arrivando una grossa batosta economica: devono pagare le tasse.
A fare luce sulla questione è una sentenza tributaria pubblicata dalla prima sezione della Ctp di Savona sul caso di una ragazza dell’est europeo che aveva ricevuto l’accertamento sul conto corrente. La giovane donna figurava come addetta alle pulizie, ma suo non era uno stipendio da colf. Dopo un accertamento ha confessato di fare la escort e di guadagnare almeno 36mila euro l’anno. Così scatta l’inversione dell’onere della prova secondo cui dopo l’indagine bancaria è il contribuente a dover dimostrare che gli elementi emersi dalle movimentazioni sul conto non sono riferibili ad attività imponibili. E la donna non riesce a documentarlo, così come fallisce nel tentativo di evitare il pagamento dell’Iva sul rilievo che le entrate sarebbero frutto di un’attività illecita, che invece risulta contraria solo al buon costume.
In Italia la prostituzione non è regolamentata da alcuna legge. Dal punto di vista civilistico il contratto concluso con la escort è nullo perché l’oggetto (la prestazione sessuale dietro pagamento di denaro) è considerato contrario al buon costume e, quindi, illecito. Questo però non vuol dire che il meretricio sia vietato o costituisca un reato. Tutt’altro l’attività della escort, dal punto di vista penale, è pienamente lecita, così come non commette reato colui che venga trovato a consumare un rapporto a pagamento.
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