Arrestata la criminologa che ha seguito il caso di Fortuna Loffredo, sconvolgente scoperta: Angela Tibullo legata alle cosche della ‘ndragheta

È stata arrestata la criminologa che si è occupata della morte di Fortuna Loffredo, la bambina più volte violentata da Raimondo Caputo, fino al giorno in cui ribellandosi è stata lanciata nel vuoto dall’ottavo piano del palazzo dove abitava, a Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli. I capi d’imputazione attribuiti ad Angela Tibullo sono: concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose.

La criminologa Angela Tibullo, 36 anni, è nota per essersi occupata dello sconvolgente caso riguardante la morte di Fortuna Loffredo, la bambina più volte violentata da Raimondo Caputo, fino al giorno in cui ribellandosi è stata lanciata nel vuoto dall’ottavo piano del palazzo dove abitava, a Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli. La giovane donna è stata arrestata a Reggio Calabria nella mattinata di ieri, 2 agosto 2018. L’operazione è avvenuta nell’ambito di una maxi operazione dei Carabinieri contro le cosche della ‘ndragheta Cacciola e Grasso, operanti nella piana di Gioia Tauro.

Angela Tibullo, stando alle indagini, aveva creato un vero e proprio sistema criminale, che comprendeva medici e funzionari, con l’intento di favorire gli affiliati detenuti. La donna è accusata di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose. A spingere la Tibullo a tutto ciò, secondo gli inquirenti, sarebbe stata proprio l’ambizione. La donna infatti non aveva nessun legame familiare che la legava alle cosche mafiose e, stando alle indagini, il ruolo della criminologa è stato determinante nelle dinamiche di associazione e nel perseguimento degli interessi illeciti di alcune cosche di ‘ndrangheta.

La criminologa Tibullo avrebbe consentito ai suoi assistiti detenuti alcuni vantaggi penitenziari come il regime domiciliare, o il trasferimento in carceri più “consoni”. Inoltre avrebbe permesso ai detenuti affiliati alle cosche di ottenere la scarcerazione per incompatibilità col regime carcerario, redigendo false consulenze, sostenute dalle valutazioni sullo stato di salute degli interessati redatte però da medici e periti corrotti. La donna avrebbe anche portato all’esterno delle carceri alcuni messaggi dei detenuti. Le indagini avrebbero provato che tali comportamenti non erano affatto occasionali, bensì reiterati nel tempo.

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