Un libro sul comodino di Sergio Ardissone

Non smetto di cercare popoli sconosciuti, luoghi e culture ancora intatti”. Sergio Ardissone, fotografo, giornalista, alpinista ed esploratore astigiano, ha compiuto “diverse volte il giro del Globo” e visitato in trent’anni settanta paesi di tutti i continenti. Sempre accompagnato dalla sua reflex, non è ancora sazio. E al tempo stesso lavora per mostrare agli altri, soprattutto ai più giovani, i volti, i paesaggi, gli ambienti naturali che “non esistono più”. Perché sconvolti dai processi di globalizzazione degli ultimi vent’anni. Con VelvetMag parla delle letture che lo hanno ispirato nella professione. E non solo. Traccia i confini della sua nuova missione: dare testimonianza di un mondo che scompare lungo le rotte dell’Himalaya, i ghiacci dell’Artico, i torridi deserti africani, le antiche carovaniere dell’Asia. Attraverso la riproposizione in mostre, incontri e videoproiezioni di alcune delle decine di migliaia di foto scattate nella sua vita.

“Ci sono almeno due libri che mi stanno particolarmente a cuore – ci spiega -: Un mondo che non esiste più di Tiziano Terzani, uscito postumo, e il classico degli anni ’30 Orizzonte perduto di James Hilton. È stato proprio il testo che illustra il Terzani fotografo e non soltanto cronista a convincermi che dovevo anch’io dare testimonianza dei miei viaggi fra i popoli e le minoranze etniche travolte dai grandi cambiamenti mondiali. Da questa idea è nata la mia ultima mostra fotografica di quest’anno: Testimoni. Realtà che ho visto e fotografato e che adesso o sono scomparse o hanno subito trasformazioni radicali. Così come Orizzonte perduto ha ispirato una mia spedizione in Cina per la rivista Gente Viaggi, per cercare lo Shangri-La, il luogo perfetto, il mondo ancora incontaminato dalla cosiddetta civiltà”. Ardissone stesso ha pubblicato libri, come Mondi buddisti. “È un libro di immagini a cui tengo molto. Sono sempre stato affascinato dal buddismo e ho scoperto nel corso dei miei viaggi in Asia quante differenze esistono anche all’interno di quella realtà così composita”. La sua mostra Testimoni – Un mondo che scompare sarà in esposizione nel mese di novembre 2018 al Castello di Costigliole d’Asti.

Bambina kirghisa, Cina 1990. L’immagine-icona dei lavori di Ardissone

Mitezza, sorriso aperto, curiosità e coraggio sono le armi con le quali Sergio Ardissone ha percorso le vie della Seta ma anche la sconosciuta e intatta valle dell’Omo in Etiopia, dove alcune decine di etnie diverse vivono come i loro antenati qualche millennio fa. Eppure l’immagine-icona a cui il reporter piemontese è più affezionato è quella di una bambina kirghisa vestita di rosso che, incuriosita dai rumori, è appena uscita da una yurta nella steppa, la sua casa (la foto è qui riprodotta per gentile concessione dell’autore). Nelle sue fotografie spiccano i volti in primo piano. Traspare con nettezza un dialogo a tu per tu e da pari a pari fra il reporter e gli uomini, le donne, la natura stessa di luoghi che la maggior parte di noi non vedrà mai con i suoi occhi. “Sono riuscito a penetrare in posti dove era raro che un occidentale arrivasse – racconta Ardissone – e ho sempre cercato di instaurare un rapporto con chi mi prefiggevo di fotografare. Volevo capirli, ascoltarli, vivere con loro. E, quando acconsentivano, fotografarli”. Tutto ciò quando il digitale non esisteva e si lavorava sulla pellicola.

Come è cambiata la fotografia oggi? “L’idea di catturare immagini con il telefonino mi fa venire l’orticaria…Credo che adesso emerga più difficilmente la bravura di un fotografo: se hai photoshop e la possibilità quasi infinita di ritoccare le immagini in fondo il tuo ruolo passa in secondo piano”. Anche la montagna, grande passione di Ardissone fin dall’infanzia, è “usata” dall’uomo in una maniera che non sembra più la stessa. Se per fare trekking fino al primo campo base dell’Everest occorreva un mese, una volta, adesso i turisti in elicottero possono giungere a solo una giornata di cammino dalla meta. “Ma io conservo sempre lo splendido ricordo della scalata all’Annapurna IV (7.525 metri di altitudine) con una spedizione italo-francese, un’esperienza grandiosa – dice Sergio Ardissone – e poi per me le montagne non significano soltanto il contatto con la natura ma anche con i popoli, così affascinanti, che le abitano”. Nessun confine nella mente, il desiderio di esplorare la Terra e incontrare gli umani, una reflex sempre vicino a sé. È tutto ciò che serve ad Ardissone per essere un testimone eccezionale del mondo che cambia.

Photo credits: immagine in primo piano e in mezzo al testo: per gentile concessione di Sergio Ardissone; immagine in fondo al testo: Twitter

 

 

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