Fermata coppia di italiani convertiti all’Islam: “Vendevano armi all’Isis in Libia e all’Iran”

Marito e moglie del Napoletano fermati dalla Finanza insieme a un altro italiano. Avrebbero smerciato elicotteri e armamenti violando l’embargo

Eliambulanze vendute in Iran e Libia per poi essere trasformate in elicotteri da guerra. E poi fucili d’assalto, missili terra-aria e missili anticarro, prodotti dai paesi dell’ex blocco sovietico, e venduti ai due Paesi suddetti. Il tutto naturalmente violando l’embargo internazionale e senza le necessarie autorizzazioni ministeriali. Queste le accuse, secondo Repubblica.it, in base alle quali sono state fermate quattro persone – tre italiani e un libico non reperibile al momento, Mohamud Ali Shaswish – nell’ambito di un’operazione del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, su ordine della Dda di Napoli. Operazione eseguita nelle province di Roma, Napoli, Salerno e L’Aquila.

UNA SOCIETA’ DI ROMA

Il sistema, secondo le accuse, ruotava attorno alla Società Italiana Elicotteri con sede a Roma, il cui legale rappresentante Andrea Pardi è tra i fermati. Era già coinvolto in un’altra inchiesta sul traffico d’armi e reclutamento di mercenari tra Italia e Somalia. In un caso almeno tale società si è avvalsa dell’aiuto di una coppia di napoletani, che avevano agganci con alti funzionari dell’Iran. Per vendere i pezzi di ricambio degli elicotteri in quel paese – secondo gli inquirenti – avevano messo in piedi una triangolazione con una società di Panama, che non riconosce l’embargo. In un altro caso, il trasferimento a gruppi militari libici è avvenuto con l’appoggio di una società in Ucraina. Nel 2015 Pardi aggredì un giornalista di Report che gli aveva chiesto un’intervista.

LA COPPIA CONVERTITA ALL’ISLAM

Gli altri due italiani fermati si chiamano Mario Di Leva, convertito all’Islam con il nome di Jaafar, e Annamaria Fontana. Sono sposati e vivono a San Giorgio a Cremano, nel Napoletano. Sono fra l’altro proprietari e titolari, secondo quanto riporta il Mattino, di un locale arabo, lo Sheik, che si trova proprio sotto casa loro. Su Di Leva sono in corso ulteriori accertamenti su una sua presunta radicalizzazione. Anche un loro figlio risulta indagato. L’indagine, coordinata dai pm Catello Maresca e Luigi Giordano, riguarda un traffico di armi destinate sia a un gruppo dell’Isis attivo in Libia, sia all’Iran. Agli atti dell’inchiesta vi è anche una foto in cui la coppia è in compagnia dell’ex premier iraniano Ahmadinejad (in alto).

Arrestata coppia di italiani convertiti all'Islam: "Vendevano armi all'Isis in Libia e all'Iran"

ITALIANI SEQUESTRATI IN LIBIA

Dalle intercettazioni sarebbero emersi presunti contatti tra i coniugi e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia nel 2015. La circostanza sarebbe venuta alla luce da alcuni sms di poco successivi al sequestro in cui i coniugi facevano riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima, alludendo a loro come autori del rapimento. Il sequestro si concluse, a marzo del 2016 con la morte di due italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a fuggire.

CAMORRA, MALA DEL BRENTA E MERCENARI SOMALI

Oltre ai quattro provvedimenti di fermo, riporta il sito web dell’Ansa, sono state eseguite 10 perquisizioni nei confronti di altrettante persone per ipotesi di reato riconducibili al traffico internazionale di armi e di materiale “dual use”, di produzione straniera. La prima fase dell’odierna operazione ha avuto avvio nel giugno 2011, su input del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, in relazione ad un precedente procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Napoli dalla quale è emerso che una persona organica a un clan camorristico dell’area casalese era stato contattato da un appartenente alla “mala del Brenta” con precedenti specifici per traffico di armi. Quest’ultimo ricercava, infatti, persone esperte di armi ed armamenti da inviare alle Seychelles per l’addestramento di un battaglione di somali, che avrebbero dovuto svolgere attività espressamente qualificate come “mercenariato”.

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Photo credits: Twitter

 

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