Omicidio Gloria Rosboch: scontro in aula sulla posizione della madre di Gabriele Defilippi

Per la difesa di Caterina Abbatista non c’è la certezza che la donna, il giorno del delitto di Gloria Rosboch, abbia lasciato il suo posto di lavoro all’ospedale di Ivrea.

Non vi è certezza che Caterina Abbatista, accusata di complicità nell’omicidio della professoressa Gloria Rosboch, il giorno del delitto abbia abbandonato il suo posto di lavoro all’ospedale di Ivrea per incontrarsi con il figlio, Gabriele Defilippi, e con il suo complice, Roberto Obert, tra Montalenghe e San Giorgio. Questo è ciò che è emerso nella terza udienza contro la 47enne che si è professata estranea al delitto della docente di Castellamonte.

Per difendere Caterina Abbattista, come riporta La Repubblica, si è fatto riferimento al caso di Melania Rea, la donna uccisa dal marito, il militare Salvatore Parolisi, il cui cellulare, mentre nascondeva il cadavere della moglie, era collocato dai tabulati telefonici molto lontano dal luogo dove effettivamente si trovava. Al contrario, secondo gli avvocati difensori dell’imputata, Tommaso Levi e Giampaolo Zancan, la mamma di Gabriele Defilippi era dove diceva di essere, cioè sul luogo di lavoro, anche se il suo telefonino sembra dire il contrario. “Le prove raccolte dai carabinieri sono state smentite – spiega l’avvocato Tommaso Levi, come riportato dal giornalista Jacopo Ricca de La Repubblica – Loro sostenevano come l’aggancio da parte dello smartphone della nostra assistita di una cella, nel comune di Montalenghe, alle 19 e 19 dimostrasse che aveva lasciato l’ospedale, ma non è così perché non è detto che questo sia successo perché era fuori dal posto di lavoro, circostanza che non è stata confermata da nessuno dei suoi colleghi”.

Gli investigatori avevano già ribadito nel corso dell’indagine che quel contatto tra il cellulare di Caterina Abbattista e il ripetitore sulla collina distante più di 15 chilometri da Ivrea non fosse una prova incontrovertibile del passaggio in auto in quell’orario dalla zona. Si tratta infatti di un aggancio per traffico dati, che si ripete anche alle 22, quando la donna in effetti passa dalla zona, ma che potrebbe anche essere l’ultimo segnale di un passaggio precedente. L’avvocato Levi ha inoltre aggiunto: “In un processo, soprattutto con accuse così pesanti, se non c’è certezza è come se si negasse la circostanza, quindi si può dire che Abbattista non ha lasciato l’ospedale quel giorno“. Uno dei carabinieri che ha seguito le indagini ha spiegato in aula che la distanza e le diverse colline che dividono Ivrea da Montalenghe non renderebbero possibile agganciare il cellulare restando in ospedale portando come prova dei test fatti con un modello di cellulare uguale a quello dell’imputata. Anche questo punto è stato smentito dal consulente della difesa, Roberto Cusani, professore di telecomunicazioni: “Già in passato il telefonino di Abbattista ha agganciato quella cella, mentre era in ospedale. Dall’analisi dei tabulati si può dire che sia successo almeno 14 volte prima di quel giorno”. Il 6 febbraio si tornerà in aula per nuovi sviluppi.

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