Yara vittima di una rete di pedofili? Scenario sconvolgente nell’inchiesta “Black Shadow”

Ci sono riferimenti a Yara Gambirasio, la ragazza di 13 anni di Brembate di Sopra (Bergamo) uccisa nel 2011, nell’inchiesta della polizia postale del Trentino Alto Adige, coordinata dalla Procura di Trento, denominata “Black Shadow”. Sono state arrestate 10 persone, accusate di pedofilia e pedopornografia, mentre sono 48 gli indagati. E arriva il verdetto della Corte d’Appello sulla prova del Dna per Massimo Bossetti: “È stata corretta, e non è ripetibile”.

La notizia è riporta dal sito web dell’Ansa. Gli investigatori hanno trovato sul computer di uno degli arrestati una sorta di dossier di circa 40 pagine su Yara, con fotografie accanto a preghiere blasfeme e filastrocche. L’uomo che aveva le immagini di Yara ha 53 anni ed è di Rimini, come anche Velvet News ha raccontato (vedi articolo in calce al pezzo). La vicenda del presunto dossier su Yara sarebbe ora seguita dal pool difensivo di Massimo Bossetti, l’uomo condannato in secondo grado all’ergastolo per l’omicidio dell’adolescente.

L’INCHIESTA BLACK SHADOW (OMBRA NERA)

L’inchiesta Black Shadow di Trento ha svelato una lunga catena di presunti pedofili che si nascondeva nel web, scambiandosi immagini e comunicando grazie a programmi di messaggistica istantanea. Tutto è nato con l’arresto di un uomo di 38 anni residente in val Pusteria, in Alto Adige, fermato nel febbraio 2016. L’uomo era stato trovato in possesso di 4 Terabyte di materiale digitale – sia immagini che video -, contenente atti sessuali e pornografia a cui erano costretti bambini anche in tenera età e minorenni, fra i 3 e i 12 anni.

I SOSPETTI DEGLI INVESTIGATORI

Le dichiarazioni rese dall’arrestato, che ha detto di aver scaricato i file dalla navigazione internet da soggetti dei quali non era in grado di indicare generalità o ulteriori elementi utili alla loro identificazione, hanno insospettito gli investigatori informatici della Polizia, i quali hanno individuato tra le prove digitali un utilizzo massiccio dell’applicazione Voip, oltre ad una rubrica composta da numerose decine di contatti.

LA DIFESA DI BOSSETTI

Nei giorni scorsi si è mosso anche l’investigatore Ezio Denti, facente parte del pool difensivo di Massimo Giuseppe Bossetti, l’unico condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. “Quel dossier su Yara è molto interessante. Perchè proprio Yara?  – aveva argomentato Denti in un’intervista al Resto del Carlino -. Perché viene indicata come una vittima sacrificale sull’altare della pedofilia?”. “Nei computer e nei cellulari di Bossetti non è stato trovato nulla – sostiene Denti – che possa far pensare che si trovasse coinvolto in un giro simile. Gli stessi investigatori l’hanno escluso”. Sembrerebbe quindi che l’ipotesi di una rete di pedofili avanzata dalla difesa di Bossetti per scagionare il suo assistito possa davvero prendere consistenza.

LA PROVA DEL DNA

Sono state tuttavia depositate le motivazioni con le quali lo scorso 1 luglio la Corte d’Assise d’Appello di Brescia ha condannato in secondo grado Massimo Bossetti all’ergastolo. E il verdetto appare inequivocabile: il Dna isolato sul corpo della povera Yara è di Bossetti, ribadisce la Corte. E, precisano i giudici, “non sono stati violati i principi del contraddittorio e delle ragioni difensive” riguardo la prova regina che ha portato alla condanna al carcere a vita per il carpentiere di Mapello. La difesa aveva chiesto invano una superperizia, contestando la validità della prova del Dna effettuata. I giudici aggiungono invece, nella sentenza, che “non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni” del Dna trovato sul corpo della tredicenne.

Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio

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