Manager italiano trovato con il cranio fracassato a Istanbul, giallo sull’autopsia turca di Alessandro Fiori

Una morte ancora tutta da chiarire quella di Alessandro Fiori, il manager italiano scomparso a Istanbul il 14 marzo e il cui cadavere è stato trovato il 28 marzo. Secondo i medici di Milano, l’autopsia sarebbe stata svolta senza seguire i protocolli internazionali.

Cosa sia successo ad Alessandro Fiori mentre era a Istanbul è ancora un mistero. Il manager italiano, di 33 anni, era partito il 12 marzo scorso dall’aeroporto di Milano Malpensa alla volta di una delle maggiori città della Turchia ed era scomparso nel nulla dopo due giorni dal suo arrivo. Il corpo dell’uomo venne trovato il 28 marzo sulla riva del mare in quartiere centrale di Istanbul, con il cranio completamente fracassato. Stando ai primi accertamenti fatti sul corpo, effettuati dall’Istituto di Medicina legale di Milano dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, come delegato dalla Procura di Roma, Alessandro Fiori potrebbe essere morto a causa di un profondo solco, come di un fendente, individuato nella parte posteriore della testa, di cui andranno chiarite origine e cause con esami più approfonditi.

Qualcosa però sembra non tornare. Il padre del ragazzo, ai microfoni di Chi l’ha visto?, ha rivelato che quando effettuò il riconoscimento fotografico del figlio era già stata eseguita l’autopsia, senza che nessuno glielo avesse notificato. Inoltre, secondo i medici dell’Istituto di Medicina legale di Milano, l’autopsia svolta ad Istanbul sarebbe avvenuta senza proseguire i protocolli internazionali. Come mai i medici turchi non li hanno rispettati? A ciò va ad aggiungersi che chi ha curato il trasporto della salma non ha effettuato una conservazione adeguata. 

Il padre di Alessandro Fiori ha poi colto l’occasione per ringraziare le istituzioni italiane attraverso i microfoni di Chi l’ha visto?: “Ho trovato una grande corrispondenza nel Consolato, sempre disponibili in qualsiasi giorno, in qualsiasi orario“. Rassegnato ha poi aggiunto: “Però, come mi hanno detto loro, in un Paese straniero non possono fare indagini. Più che telefonare, sollecitare, scrivere, non possono fare. Evidentemente se non ci sono interessi molto particolari questi tentativi di influenzare non servono a nulla. Il problema nasce là: se hanno interesse nel fare o meno le indagini”.

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